Fra i quattro re “porcini” è sicuramente il fungo più bello e appariscente dal punto di vista estetico; riconoscibile facilmente per i suoi colori, l’alone rossastro sotto alla cuticola e l’elevato peso specifico, è anche però considerato dai cercatori il meno buono fra i boleti del gruppo Edulis, in quanto non possiede un aroma intenso e penetrante nel fresco. In verità è ottimo e adatto a tutti gli usi, in quanto acuisce notevolmente il suo profumo sia dopo cottura, sia dopo essiccazione; inoltre, fra i quattro porcini, è quello solitamente meno amato da parassiti, il che lo rende un fungo eccezionale sotto ogni aspetto. È il primo e ultimo porcino che incontriamo nei boschi: fa una veloce comparsa in primavera (aprile-giugno), resiste in alta montagna nei mesi estivi (luglio-settembre) e fruttifica da ottobre fino alle prime nevicate nei boschi appenninici.
Boletus pinophilus in faggeta alpina all'inizio del mese di Giugno (Foto © Nicolò Oppicelli)
Vediamone i dettagli...
Il cappello del nostro porcino rosso è globoso e molto carnoso, con il bordo ben aderente al gambo quando il fungo è giovane. Poi si allarga progressivamente ma raramente si distende del tutto, se non quando il pinicola è molto vecchio. La superficie, che spesso presenta fessure e gibbosità, è dapprima “pruinosa”, cioè appare coperta da una sorta di farina, ma ben presto diventa completamente liscia, vischiosa quando il tempo è umido. Se è molto giovane, a causa della “pruina”che lo ricopre, i toni del cappello risultano bianchicci, poi sfoggia un’elegante colorazione rosso-granata con possibili varianti verso il vinoso o anche il viola-nerognolo.
Le dimensioni possono anche essere “titaniche”: di norma il diametro tocca i 25-30 centimetri ma sono stati trovati esemplari con cappello di 40 centimetri!
La "spugna" sotto il cappello, ovvero la superficie imeniale, è composta da tubuli fini e molto lunghi, prima bianchi poi verdastri. I pori, cioè i fori terminali dei tubuli, sono molto piccoli e stretti, prima bianchi, poi giallognoli e infine verde carico con possibilità di sparse macchie rugginose. Il gambo, negli esemplari giovani è praticamente sferico, largo quanto il cappello se non di più. Quando il fungo matura, il gambo si allunga ma in proporzione minore di quanto accade nel Boletus edulis e nel Boletus reticulatus, mantenendo una forma a bulbo. Prima bianco, diventa poi bruno rossiccio. Il reticolo, quando c’è, è meno esteso di quello dell’edulis, e ha una tinta bruno-rossiccia, come quella del gambo. La carne è abbondante e spessa, con un peso specifico superiore a quella degli altri tre porcini. Bianca, presenta come quella del Boletus edulis un alone color vino proprio sotto la pellicina che ricopre il cappello. Il sapore è dolce, l’aroma è meno intenso di quello degli altri porcini e pure un tantino diverso, un po’ “fruttato”.
Boletus pinophilus, alcuni scatti nei suoi ambienti di crescita. Foto © Nicolò Oppicelli
A livello tassonomico il primo ad osservare questa entità fu Carlo Vittadini, nominandola Boletus edulis var.pinicola, suggerendo come fosse differente rispetto al più classico e conosciuto Boletus edulis. Nel 1863 fu lo studioso Antonio Venturi a descrivere ed elevare al rango di specie Boletus pinicola, senza però osservare come lo studioso Olof Swartz, nel 1810, aveva chiamato con il medesimo epiteto (Boletus pinicola!) un altra specie fungina, nel caso un diffuso fungo lignicolo oggi noto come Fomitopsis pinicola (che curiosamente, fra i suoi sinonimi ha anche Boletus semiovatus e B.fulvus coniati da Schaeffer nel 1774 e Boletus marginatus descritto nel 1794 da Christian Hendrik Persoon). Per via del codice internazionale che regola la nomenclatura di ogni specie esistente, un nome già coniato ed assegnato ad un taxa preciso ed identificabile non può esser utilizzato per ridescrivere od indicare una specie differente. Quindi, nel 1973 furono i micologi cechi Albert Pilat ed Aurel Dermek ad assegnare a questo fungo il suo nome attuale e corretto, Boletus pinophilus. L’epiteto specifico, deriva dal latino Pinus, ovvero “pino”, e dal greco antico “phileo”, amico, amante; intendendo questa specie come tendenzialmente associata alla presenza di conifere del genere Pinus. Le recenti analisi di natura filogenetica, hanno mostrato come questa specie sia strettamente correlata con un gruppo di entità presenti nel Nord America, come Boletus subcaerulescens e Boletus rex-veris. A livello europeo, questi sono i nomi comuni in uso, tutti più o meno con velati riferimenti alla presenza di conifere del genere Pinus nei suoi ambienti di crescita preferiti: boleto pinícola in spagnolo, sureny in catalano, andoa dos piñeiros in galliziano; Kiefernsteinpilz o Rothütige Steinpilz in tedesco, pine bolete o pinewood king bolete in inglese, cèpe des pins, bolet pinicole o cep des pins de montagne in francese; rødbrun steinsopp in norvegese, rødbrun stensopp in svedese, männynherkkutatti in finlandese, männi-kivipuravik in estone, pušyninis baravykas in lituano, priežu baravika in lettone, hřib borový in ceco, borowik sosnowy in polacco, borov vrganj in croato, borov goban in sloveno, hrib de pin in rumeno. In Italia, secondo il Dizionario dei nomi dialettali di Ulderico Bonazzi, sono (o sono state) utilizzati per indicarlo, alcuni tra i seguenti nomi volgari: pinacc (Canton Ticino); stagn russ (Novara); fratin, muscatel (Asti, Savona); vermalin, burei d’autogn, burei negr, moru d’autogn (Cuneo); brisa mòra (Trento); herrenpilz, porcino nero (Bolzano); moro, rosso, settembrino (Vicenza); funzi mòi, funzi de posto, funzi du freddu, rosparo (Savona, Imperia); cuplìna dal freddo (Bologna); fungo rosso (Arezzo); sélvo, servo, vernìn rosso (Lucca, Massa-Carrara, Pisa); testa rossa, gelatino rosso (livorno); bovaccio, bovaro, boaro, fungo del bue, fungo delle capre (Perugia); cozza ‘e pinu (Cosenza); schiaveu (Reggio Calabria).
Dove nasce
A livello di ricerca e raccolta, il trovarsi di fronte uno di questi porcini regala sempre forti emozioni: massiccio e dai colori vividi, riesce con la sua maestosità anche a corrompere l’animo del più efferrato micologo che si dedica alla ricerca di specie da studio. È un fungo comune, sia sulle Alpi sia sugli Appennini ma la sua presenza è definibile “a macchia di leopardo”, ovvero in certe zone lo troviamo piuttosto facilmente, mentre in altre, anche vicine, quasi mai od in maniera sporadica. I periodi preferenziali durante i quali fruttifica sono all’inizio ed alla fine della stagione dei “porcini”, in particolare i mesi di maggio-giugno e, soprattutto, ottobre e novembre, anche se in ambiente montano, nei mesi di agosto e settembre questa specie gioca un ruolo da protagonista di primo piano. I primi Boletus pinophilus della stagione spuntano in maggio-giugno, occasionalmente anche alla fine del mese di aprile, soprattutto al limite dei boschi di faggio e castagno, o negli areali submontani con presenza di pino silvestre. Qui, fra l’erba, qualche giovane piantina di mirtillo, qualche avvallamento o pianoro, si può presentare in tutta la sua maestosità. La sua fruttificazione primaverile, se la temperatura non si è ancora stabilizzata sui valori del periodo di fine primavera od inizio estate, risulterà piuttosto sporadica e limitata alle zone collinari con buona esposizione solare, mentre invece, se il clima risulterà più vicino alle temperature estive, per soddisfare al meglio il suo bisogno di “tepore”, tenderà a fruttificare su crinali ripidi e con poca foglia sul terreno che, per la loro conformazione, colgono perpendicolarmente i raggi del sole. Quasi sempre i Boletus pinophilus più precoci precedono le avanguardie dei fioroni degli “estatini”, ovvero le primissime nascite dei Boletus aestivalis o reticulatus. Nei boschi di conifera, soprattutto in quelli di abete rosso ed abete bianco, questa specie ama mostrarsi nelle zone un pochino più ripide, dove l’acqua dei temporali estivi scorre, oppure nelle aree con presenza di arbusti di mirtillo. Durante la stagione calda (luglio, agosto, settembre) la sua presenza tende a limitarsi ad areali più freschi ed ombrosi, a quote medio-alte; in virtù di questa “affiliazione” ai climi più freschi, lo possiamo incontrare con più frequenza nelle regioni alpine, nell’est e nel nord dell’Europa. Con l’avvicinarsi dell’autunno, a poco a poco la sua presenza aumenta, iniziando a mostrarsi nelle aree più fresche ed ombrose del sottobosco (faggeta, castagneto, abetaia, pineta con presenza di P.sylvestris), per poi fruttificare in maniera più costante e copiosa con il calo delle temperature e delle ore di irradiazione solare. Nei boschi misti di latifoglia occorrerà attendere l’arrivo dei primi freddi e concentrare le ricerche nei boschi di faggio a quote mediane, 700-1.200 metri d’altitudine, e sui castagneti, con preferenza per quelli frammisti a conifere e faggi. Qui, anche nel cuore del mese di novembre ed occasionalmente a dicembre, dopo la caduta delle foglie, sembra di andare alla ricerca di funghi in un paesaggio simil-lunare! La mancanza di fronde che ostacolano la vista permette inoltre di scorgere gli ultimi giganti “rossi” anche a decine di metri di distanza, fin quando il gelo, il vento freddo o le nevicate ne fermano definitivamente la crescita. Come abbiamo già detto, fra le quattro specie di Boletus note come “porcini”, il nostro amico “dei pini” è entità molto fedele ai suoi luoghi di crescita. Queste “fungaie”, anche durante i periodi più siccitosi, oppure all’inizio ed alla fine della stagione di fruttificazione non tradiranno mai.
In cucina…
Prima di parlare del Boletus pinophilus in cucina, è ovviamente buona prassi partire dalla pulizia, che dà ben pochi problemi, almeno di solito: una passatina con il coltellino per eliminare i residui di terra, per poi riporlo nel cestino. All’atto della preparazione, una lavata da intero sotto acqua corrente e può bastare così. Di solito Boletus pinophilus ”non è verminato ma, purtroppo, non è una regola certa: se lo dobbiamo affettare non ci sono problemi, se invece scegliamo di prepararlo per la composta sott’olio è preferibile sezionarli per la metà centrale. A livello di conservazione, possiamo cuocere le teste intere del Boletus pinophilus per conservarle poco tempo nel frigorifero o per tenerle qualche mese nel freezer: basta ungere una padella antiaderente con del burro e porvi sopra la cappella capovolta dopo averla salata da entrambi i lati. Se ci piace, possiamo pure “steccarla” con pezzetti d’aglio, cioè inserirli qua e là nella polpa e nella spugna. Mettiamo sul fuoco a calore vivace e, quando comincia a sfrigolare, premiamo leggermente la cappella con un cucchiaio per favorire la fuoriuscita dell’acqua. Quando cominceranno ad appassire, spegniamo il fuoco e mettiamo le nostre teste di fungo nel frigo o nel freezer, in un recipiente di plastica o vetro, insieme al liquido rimasto nel tegame; eventualmente possiamo anche riporli in un sacchetto per il sottovuoto (nel caso, cucinandoli senza aromi decisi, quindi senza aglio o spezie) e conservarli nel congelatore. A livello “qualitativo”, eccessi di presenza di imenoforo maturo (la “spugnetta” verde) rispetto alla polpa rende più difficile una corretta cottura della cappella intera oppure, se il fungo è stato cotto in tegame, finisce per far risultare un po’ viscido l’intingolo. Possiamo quindi toglierne una parte, e se non presenta larve o risulti alquanto molliccia, è possibile passarla in un tegame antiaderente con poco burro e sale finché non tende a disfarsi; in seguito useremo questa “salsa” per insaporire gnocchi, purea di patate, salse, pasta all’uovo e via discorrendo. Proprio perché più consistente e quasi sempre sano, il Boletus pinophilus rappresenta il porcino ideale per essere gustato alla “brace”: perché la cottura risulti uniforme è bene cuocerlo in griglia a circa 15 centimetri di distanza dalla fonte di calore, ponendo il fungo con la parte del cappello verso la fiamma; possiamo salare ed utilizzare un intingolo di aromi (aglio, rosmarino, olio, limone) per insaporire la parte della “spugna” che rimarrà più distante dalla brace. A cottura quasi ultimata lo gireremo con la spugnetta a contatto della griglia per pochissimi minuti.
Sottolio d’autore
Essiccati, gli esemplari di questo fungo aumentano leggermente la loro componente aromatica, che è onor del vero meno intensa rispetto agli altri tre porcini. Ma com’è l’aroma del pinophilus che, come accennato, è meno intenso di quello delle altre tre specie di porcini? Sta a mezza strada tra quello dei porcini e quello di altri boleti di cui si dice che abbiano “aroma fruttato”. Per capire cosa significa, pensiamo all’odore che esce dal frigorifero dopo che abbiamo dimenticato dentro frutta di vari tipi troppo a lungo. Da secco B.pinophilus è quindi meno aromatico di B.edulis, B.aereus e B.reticulatus. Proviamo a mettere in un vaso dei B.pinophilus essiccati e confrontiamone l’odore con quello proveniente da un vaso di altri porcini conservati nello stesso modo: ne avremo la riprova. La sua consistenza ed i suoi colori però lo rendono il vero fungo d’elite per la conservazione in composta. La cottura in aceto, infatti, accentua il bianco del gambo ed il colore del cappello, creando un contrasto molto piacevole e invitante. Inoltre, la cottura in un liquido acetato, indispensabile per la conservazione, finisce per annullare la componente aromatica di tutti i funghi, quindi anche la differenza rispetto agli altri porcini. Per la preparazione in composta, facciamo bollire acqua e aceto (in proporzione di 3:1) con un pugno di sale grosso e una scelta di aromi misti (aglio, alloro, ginepro, pepe nero, chiodi di garofano, cannella, rosmarino e quanto di più la nostra fantasia di suggerisce). Facciamo sbollentare a fiamma bassa in modo tale che il court bouillon riesca ad aromatizzarsi per bene, indi alziamo la fiamma e aggiungiamovi i funghi precedentemente ben lavati. Lasciamo cuocere per un quarto d’ora circa a partire da quando il liquido riprende a bollire, indi scoliamoli e lasciamoli asciugare posti su due strofinacci. Riponiamoli nel vasetto dopo aver messo un po’ d’olio per evitare le bollicine d’aria, facendo attenzione a che nemmeno un pezzettino di fungo resti fuori dall’olio; indi richiudiamo il vaso e conserviamolo al buio.
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