L’estatino, porcino estivo o porcino d’estate (ma lo troviamo anche in autunno inoltrato ed in piena primavera); è noto con il nome scientifico di Boletus reticulatus o Boletus aestivalis. Anche se lo si trova talvolta verminato, in particolare durante la stagione calda, dal punto di vista gastronomico rimane il migliore fra i porcini, soprattutto se utilizzato in ricette semplici o essiccato, per il suo aroma intenso e dolce.
Boletus aestivalis, scatti nei suoi ambienti di crescita. Foto © Nicolò Oppicelli
Come è fatto
Un piccolo record, però, lo detiene: quello del gambo più lungo! Negli spiazzi ai bordi dei boschi, dove è presente erba piuttosto rigogliosa, spuntano “estatini” di straordinaria statura: dovendo superare in altezza l’erba per assorbire i raggi solari, infatti, può accadere che il loro gambo arrivi a misurare anche trenta centimetri! Fortunatamente per i suoi tantissimi estimatori, il Boletus aestivalis è molto diffuso sul nostro territorio; spunta cioè sia nei boschi alpini sia in quelli appenninici, abbondando pure nelle pianure, nelle zone costiere e sulle isole. E non è detto che cresca esclusivamente in estate, tutt’altro. I primi iniziano addirittura a metà primavera, tanto che li chiamano “fioroni”, e gli ultimi, ovviamente in annate particolarmente miti e in luoghi caldi, si fanno trovare anche a dicembre inoltrato. Sebbene si tratti di un fungo molto diffuso, il nostro “estatino” viene spesso confuso con gli altri porcini. Se è rossiccio, molti lo scambiano per il Boletus pinophilus; se è marrone, con il Boletus aereus, quando quest’ultimo, magari in periodi piovosi o quando cresce sotto le foglie, non si presenta con la classica colorazione bruno-nera distribuita uniformemente o a macchie sul cappello. Eppure, il porcino simbolo dell’estate ha caratteristiche ben precise che ogni buon fungaiolo dovrebbe saper riconoscere senza avere dubbi. Il suo profumo intenso e “piccante”, infatti, lo distingue dagli altri tre “re dei boschi” e, se ne assaggiamo un pezzetto, coglieremo un sapore diverso dal consueto, quasi dolciastro: tutto ciò è dovuto all’alto tenore di uno zucchero chiamato mannitolo all’interno del Boletus aestivalis. Questo non significa che con questo porcino si possano preparare dessert, ma si tratta soltanto di una caratteristica che aiuta ulteriormente a identificare il nostro “tesoro d’estate”. Fra le quattro specie di porcini, “l’estatino” è quello di dimensioni mediamente più ridotte, quello più profumato e saporito, con il reticolo più evidente e con le tinte del cappello variegate. Nelle forme chiare, la cuticola (cioè pellicola che ricopre il cappello) tende spesso a screpolarsi in caso di clima secco e ventoso. Raggiunge anche i 25-30 centimetri di diametro il cappello, pur se raramente cresce tanto e, soprattutto nelle forme più chiare, tende a screpolarsi. A seconda delle situazioni climatiche e delle zone dove cresce, la tinta del cappello può variare ampiamente l’imenoforo presenta tubuli più corti rispetto a quelli del classico Boletus edulis e, accorciandosi in prossimità del gambo, creano un’infossatura intorno allo stesso. I pori (l’apertura inferiore dei tubuli), così come i tubuli stessi, da inizialmente bianchi passano al giallognolo, poi diventano di colore verde oliva pallido quando il fungo è maturo. Il gambo si allunga assai velocemente e di solito è piuttosto sottile se rapportato alle dimensioni del cappello, ma ci sono “robuste” varianti. Di norma è invaso da larve di insetti già allo stadio giovanile. Ha un colore beige-ocra ed è caratterizzato dalla presenza di un reticolo molto sviluppato che diventa bruno e risalta sullo sfondo più chiaro. La carne non cambia colore al taglio è abbastanza soda ma sempre più cedevole alla pressione delle dita a mano a mano che il fungo cresce. Può comparire un alone giallo a contatto con la cuticola del cappello. L’aroma è ben marcato e il gusto è piacevolissimo, quasi dolciastro. In certi periodi dell’anno è possibile acquistarlo dall’ortolano o, addirittura, nei supermercati. A parte il fatto che è molto meglio andare a cercarlo in natura, nel caso fossimo costretti a prendere la via dei rivenditori dovremo fare sempre molta attenzione. Infatti, è piuttosto frequente che i Boletus reticulatus siano invasi da larve. Perciò, sia nel bosco sia dall’ortolano o sugli scaffali dei supermercati, scegliamo esclusivamente esemplari giovani, dopo aver verificato, con i polpastrelli, che né il cappello né il gambo siano cedevoli, altrimenti è facile che ci siano... ospiti!
Dove cercarlo
Il nostro estatino nasce in simbiosi con alberi diversi, però ha un debole per il castagno e il carpino nero. Tuttavia, lo troviamo di frequente anche vicino a querce (soprattutto roverelle e cerri) faggi e noccioli. Molti pensano che non si trovi nei boschi di conifere, invece nelle radure di montagna fino a 2.000 metri e oltre, dove di latifoglie non c’è neppure l’ombra, si rinviene, soprattutto in luglio e a inizio settembre: l’arbusto simbionte in tal caso è solitamente l’uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi), spesso coadiuvata dall’azione umidificatrice dei ginepri montani e delle piante di mirtillo. In areali alpini particolarmente esposti al sole, può essere rinvenuto sino a 2.500 metri di altitudine. Nel Centro e nel Sud c’è chi lo chiama “il porcino del castagno”, per differenziarlo dal “porcino della quercia”, B. aereus. In realtà, sia castagni sia querce producono entrambe le specie. Il nome popolare sta a significare che nei boschi di castagno, soprattutto a inizio stagione, il nostro profumato boleto è di casa, così come il “nero” in quelli di quercia. Con l’arrivo del vero caldo, ma questo vale anche per tanti altri funghi, bisogna spostarsi oltre i 1.000 metri e cercare nei prati vicino ai boschi di faggio, dove nascono estatini forse un tantino meno profumati di quelli di media collina ma di consistenza e dimensioni interessanti. Ancora più avanti, diciamo verso la metà di luglio, potrebbe capitare di dover salire ancora un po’, verso le foreste di abete rosso (peccio). Tutto ciò fino all’inizio di agosto, quando il “nostro” verrà soppiantato, pur se non completamente, dal porcino più comune, il Boletus edulis. In settembre e ottobre, soprattutto nei boschi appenninici, ritorna prepotentemente alla ribalta il castagneto, dove con un po’ di fortuna condita con esperienza e un pizzico di intuito ci sono concrete possibilità di fare raccolte memorabili. Già a settembre, però, le maggiori possibilità di incontro si spostano verso gli Appennini, dapprima in Liguria, Emilia e Toscana e poi, in ottobre e oltre, sempre più a Sud fino alla Puglia e alla Sicilia che solitamente, con i loro splendidi reticulatus, concludono la stagione buona per la ricerca del porcino più profumato. L’albero che potrebbe fare la differenza è il carpino, anche se la massa dei cercatori non è abituata a cercare porcini nei suoi paraggi. Spesso il carpino cresce in mezzo alle querce, soprattutto roverelle. Questo fa sì che, istintivamente, molti di noi passino in rassegna posti dove abbondano quelle tralasciando le concentrazioni di carpini che, invece, regalano estatini di tutto rispetto, magari in “bollate” di 20-30 esemplari in pochissimo spazio. Capita di raccoglierne anche in zone particolarmente ricche di erica e ginepro. Visto, però, che questi arbusti convivono spesso con gli alberi simbionti classici, come castagni e faggi, è difficile stabilire con certezza se la simbiosi interessi veramente gli arbusti. Trattandosi quasi sempre dei primi porcini dell’anno (soltanto qualche B. pinophilus può precederli in ambienti ben delimitati), vengono chiamati in gergo “fioroni”. Qualcuno ha ipotizzato si tratti dei “primordi” che, probabilmente per la mancanza di condizioni favorevoli, non si sono sviluppati nella parte finale dell’autunno precedente. Per questo i primi reticulatus non hanno un aspetto accattivante tanto sono smilzi, screpolati e spesso invasi da larve di insetti. Se premiamo il gambo, lo sentiamo cedevole e, se lo sezioniamo, lo troviamo spesso pieno di gallerie scavate dai vari parassiti. Gli esemplari che nascono dopo la prima “crescita”, diciamo a metà giugno o giù di lì, si presentano più strutturati e sodi, senz’altro più “presentabili” rispetto ai primissimi. Insomma, con il tempo la percentuale di funghi con problematiche si fa via via minore. Quando andiamo alla ricerca dei porcini d’estate dobbiamo tenere ben presente che le migliori possibilità le avremo all’aperto, nei punti con vegetazione limitata, quando non addirittura ai bordi del bosco, magari in pieno prato. Assolutamente da non trascurare, ma al contrario da setacciare sistematicamente, i punti con frammenti rocciosi, a maggior ragione se ai margini del bosco. Le rocce, infatti, trattengono il calore più a lungo, scaldando il terreno intorno e rendendolo propizio alla crescita degli estatini.
Temporali e umidità
In ogni caso, il segreto per andare a colpo sicuro è informarsi su quando e dove si sono verificati temporali. Una volta che ci siamo accertati, attendiamo un paio di settimane e... partiamo in quarta: in questi casi la speranza di ottenere buone raccolte è molto alta, anche se il nemico numero uno dei funghi, il vento, a volte ci riserva delle sgradite sorprese. Se si fa sentire veramente, infatti, ci impiega pochissimo tempo ad azze- rare le nascite. Il Boletus reticulatus è molto ricercato ma il massimo dell’emozione la regala quando... decidiamo di andare a edulis! Nelle valli alpine, in boschi di abete rosso, quando partono le fungate di B. edulis ci sono davvero porcini per tutti. Il bello è che, magari in qualche spiazzo, si incappa in un gruppetto di “estatini”. ll nostro bel porcino inoltre, sembra quasi “vanitoso”, tanto gli piace mutare aspetto! Insomma, nel bosco si presenta a noi con “vestiti” diversi, in una vasta gamma di varianti che, comunque, rientrano tutte nell’ambito della stessa specie. Questo “eclettismo” o “trasformismo” riguarda soprattutto la superficie del cappello, tant’è vero che, a ben vedere, si possono addirittura distinguere almeno quattro o cinque forme ecologiche. La prima rappresenta il Boletus reticulatus più tipico, almeno per la maggioranza di noi cercatori. È quella con la cuticola screpolata che lascia intravedere la carne sottostante, ovviamente bianca. Le tinte di questa forma ecologica sono molto chiare, normalmente di tonalità bianco-avorio, beige o tutt’al più marroncino molto chiaro. Si presenta soprattutto a fine primavera, con tempo secco e magari ventoso. Questa forma, assai diffusa, ha un peso specifico ancora più basso della norma ed è spesso preda di parassiti. Un altra, molto simile alla precedente, ha raramente la cuticola screpolata e ha un colore di gambo e cappello sul grigio-beige. Di norma è piccola (non supera i 10 centimetri di diametro del cappello), ha gambo panciuto, è spesso larvata e con basso peso specifico. La troviamo di frequente nei boschi costieri del Centro-Sud, in luglio e settembre, un paio di settimane dopo i temporali. Preferisce spuntare nelle “schiarite”, ossia dove sono stati tagliati alberi l’anno precedente. Un altra ancora, diffusa in collina, è caratterizzata da tinte più marcate, con delle possibili punte tendenti al castano-marrone. Quando è giovane presenta una cuticola decisamente vellutata, anche se con la maturazione tale caratteristica tende a scomparire. La colorazione del cappello mette in difficoltà i neofiti che, spesso, scambiano questa forma ecologica di Boletus aestivalis con un Boletus edulis. L’inghippo non è irrisolvibile: il Boletus edulis si distingue per il cappello un po’ viscido se bagnato, liscio e non vellutato, per i toni decisamente più chiari del gambo, per il reticolo bianchiccio e per la presenza di un alone vinoso sotto la cuticola del cappello. Con un minimo di osservazione ci riesce chiunque. La quarta forma ecologica, caratteristica di zone umide e castagneti coltivati, è forse la meno conosciuta e ricorrente anche se nell’Appennino settentrionale, per esempio, è più frequente. Viene scambiata con B. aereus o B. pinophilus. La confusione è favorita dalla particolare colorazione del cappello che tocca anche tinte molto cariche, fino al mattone-rossiccio. La cuticola è molto vellutata per la presenza di peluria che rimane anche quando il fungo matura. In periodi secchi e ventosi si screpola difficilmente e, quando accade, appaiono solo minuti tasselli ai bordi del cappello. La polpa non candida la separa dal B. aereus mentre l’assenza di alone vinoso sotto la cuticola e il reticolo più sviluppato consentono di distinguerlo dal B. pinophilus.
Profumata bontà
Il Boletus aestivalis è il porcino delle emozioni più forti in cucina, ma anche... Delle delusioni più cocenti. Al profumo dirompente dell’estatino spesso si contrappone la qualità delle carni quando risultano intaccate dalle larve di ditteri micetofilidi. Tutto ciò impone un controllo già nel bosco: raccogliamo solo gli esemplari più giovani, tastiamo con cura il gambo e scopriremo, qualche volta, che basta ceda e la polpa, tutta mangiata dalle larve, si sgretoli. In tal caso verifichiamo se il cappello è ancora sano: se i buchini sono pochi, allora portiamolo a casa per essiccarlo, altrimenti lasciamolo dov’è per non perdere tempo. Ripetiamo l’operazione con i funghi vicini e, se anche il secondo e il terzo sono nelle stesse condizioni, lasciamo perdere gli altri. E se invece il gambo è bello sodo? Allora puliamolo alla solita maniera, ossia grattandolo con il coltellino per eliminare il terriccio. Facendo questa operazione, se i vermetti hanno invaso il cuore del gambo, vedremo i forellini proprio al centro del piede. Tagliamo via una piccola parte e, scavando con il coltellino, eliminiamo tutta la porzione bacata per evitare un’invasione più diffusa. Così facendo, avremo di che cucinare. Se a casa il Boletus pinophilus e il Boletus edulis, pur perdendo in qualità perché soffrono il frigorifero, possiamo lavorarli anche qualche giorno dopo, il Boletus aestivalis non perdona, dobbiamo pulirlo e lavarlo prima possibile, forse anche cucinarlo subito. Intanto, il nostro porcino d’estate non è fungo da sott’olio: intendiamoci, se è sano è buonissimo anche conservato così... Ma sarebbe davvero un delitto! Il suo pregio è il profumo dirompente che, ovviamente, scomparirebbe con la bollitura in acqua e aceto. Per chi bada alla sostanza, ossia a profumo e sapore, il Boletus aestivalis è il miglior porcino per l’essiccamento; per chi invece è più attento all’estetica, il campione è il “nero”, cioè il Boletus aereus, che mantiene anche da secco il colore candido della sua polpa. Invece, il porcino d’estate secco non è bellissimo, perché prende un colore beige-giallino. Dobbiamo lavarli bene sia in immersione sia sotto acqua corrente, poi asciugarli, infine appoggiarli sull’essiccatore o su una griglia al sole, tagliati a fette con spessore di circa mezzo centimetro. Il Boletus aestivalis ha un basso peso specifico, è più leggero perché contiene meno acqua, quindi essicca rapidamente. Eliminando gli esemplari molto bacati ed essiccando solo quelli con pochissimi tramiti di larve, i “vermetti” resteranno nell’acqua del lavaggio o se ne andranno per conto loro durante l’essiccamento. Ciò non toglie che possano rimanere uova di vari tipi di parassiti pertanto, una volta secchi, i funghi andranno posti in vasi di vetro a chiusura ermetica che dovranno fare “tappa” per almeno ventiquattro ore in freezer: questa operazione ucciderà senz’altro tutte le eventuali uova. Veniamo alle preparazioni. Ricordando che tutti i porcini sono poco digeribili crudi, con una vasta casistica di persone che addirittura non li tollerano, gli esemplari freschissimi e giovani possono essere realizzati per realizzarne un carpaccio da degustare con olio extravergine di oliva, sale, poco pepe. A livello di conservazione, se non possiamo cucinare subito gli estatini raccolti, abbiamo modo di mantenerne intatti profumo e gusto con una mezza cottura e successiva breve conservazione (per una settimana al massimo), ben coperti, in frigo. Con lo stesso metodo resteranno quasi altrettanto buoni per due o tre mesi in freezer. Affettiamoli e mettiamoli in un tegame basso con burro, sale e aglio a piacere. Lasciamoli cuocere a fuoco vivace finché non è evaporata metà della loro acqua, poi lasciamoli raffreddare e congeliamoli. Quando li tireremo fuori dal freezer finiremo la cottura secondo la ricetta preferita. Va però detto che non dobbiamo esagerare con la fantasia, perché il Boletus aestivalis cotto offre sensazioni olfattive e gustative in straordinario equilibrio, l’aggiunta di altri ingredienti potrebbe rovinarlo: per esempio, niente salsa di pomodoro, panna o simili. La “morte” del porcino d’estate? Le tagliatelle fresche condite con un semplice trifolato al rosmarino od alle erbe aromatiche di montagna. Esemplari sanissimi e freschi possono essere molto buoni fritti, ma devono essere maturi, ossia con la spugna sotto al cappello già verde. In tal caso si friggono solo i cappelli: li tagliamo alti un dito, li passiamo nella farina e li friggiamo a media temperatura in olio extravergine. Le cappelle intere sono migliori al forno piuttosto che alla brace, perché la polpa è asciutta e tende a bruciare e caramellizzare in superficie. Sconsigliamo di farcirle, mentre ci stanno benone le erbe aromatiche. Una preparazione da cuocere al forno o fritta in pastella per utilizzare i gambi rimasti è il fiore di zucca farcito con i gambi stessi tritati insieme ad erbe aromatiche e ricotta.
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